Bella tra le vette, questo sarebbe il nome di Chefchaouen in italiano e se lo merita. Ammettiamo che le aspettative sulla città blu del Marocco erano alte, soprattutto per me, memore dei racconti epici dei miei genitori sul loro viaggio in Marocco a fine anni ’70 del secolo scorso. Con questa premessa il rischio di rimanere un po’ delusi è alto, ma a mio parere ne vale sempre la pena di rischiare.
Arriviamo a Chaouen, come la chiamano i residenti, in tarda serata dopo un estenuante viaggio in auto da Fes via Meknes e Moulay Idriss, i chilometri percorsi non sarebbero nemmeno tanti, ma a causa della scoperta degli autovelox da parte della polizia marocchina (uno ogni 10km su strade in mezzo al nulla) fare 260 km a 60 all’ora diventa un impresa. Quindi dopo aver preso una bella multa per eccesso di velocità arriviamo in ritardo cosmico sulla tabella di marcia. E’ venerdì e c’è un discreto affollamento soprattutto di locali, che rendono l’arrivo un po’ traumatico e siamo pure 3 ore in ritardo.
Soggiorniamo all’hotel Koutoubia dentro la medina che fortunatamente troviamo in 2 minuti e poco dopo siamo già in piazza per cena. La città subito ci appare subito accogliente. Ceniamo nella piazza principale da Moriscos un ristorante consigliato dalla Lonely Planet, mangiamo bene, spendiamo poco e dalla terrazza panoramica sul tetto si gode di una bella vista sulla valle e sulla piazza brulicante di gente.
La mattina ci rendiamo conto di aver scelto bene l’hotel: dalla finestra di camera il paesaggio è bellissimo e la colazione viene servita sulla terrazza panoramica dalla quale si gode di una vista mozzafiato a 360 gradi.
Cominciamo ad aggirarci per la splendida medina di Chefchaouen l’azzurro delle abitazioni imbiancate a calce rende l’ambiente magico, ogni angolo meriterebbe una foto, la gente è cordiale e nessuno si offende se gli scatti una foto; forse perchè ci sono abituati, forse perchè sono fieri della loro magnifica città.
LEGGI ANCHE: LE ANTICHE ROVINE DI VOLUBILIS
Ci incamminiamo verso la moschea spagnola su per un sentiero che parte dai lavatoi lungo il torrente che lambisce la medina, incontriamo qualche donna che faticosamente raggiungono le fattorie e i campi.
Una cosa che ci colpisce e che ignoravamo è che gli abiti tradizionali e i copricapi delle donne del Riff assomigliano molto a quelli sudamericani.
Giunti alla moschea veniamo subito avvicinati da un ragazzo che si offre di portarci alla sua fattoria di Kif, sarà il primo di una lunga serie, ma decliniamo l’offerta sapendo che lo scopo della gita è quello di rifilarti grandi quantità di Kif che per la cronaca è una droga illegale anche in Marocco. Fumare Kif fa parte della cultura berbera e stanno dibattendo in parlamento per legalizzarlo. La ragione per cui qui è coltivato in grande quantità deriva dall’isolamento che ha goduto quest’area fino all’occupazione spagnola del 1920 e raramente troverete qualcuno che non ne consuma, un pò come riuscire a trovare un toscano che non beve vino… Da quello che abbiamo capito la polizia è molto tollerante con gli abitanti che lo producono (è legale produrlo,ma non venderlo anche se le due cose fanno di pari passo), ma assolutamente intollerante con i turisti che l’acquistano.
Torniamo verso la medina di Chefchaouen e ci perdiamo tra i suoi vicoli: scattiamo un sacco di foto tra prospettive suggestive, bambini che giocano a biglie sui ripidi vicoli, piccoli suk e gatti che gironzolano incuranti della presenza umana. Fortunatamente qui non ci sono seccatori, gli abitanti sono gentili e salutano in modo disinteressato e anche i negozianti non ti assaltano appena mostri interesse per qualche articolo. Tutti parlano spagnolo, più raramente il francese e quindi si comunica bene con tutti.
Scendiamo nella piazza principale e entriamo nella Kasbah per 10 dirham, la visita è breve, ma offre un bel panorama sulla medina e fortunatamente è l’ora della della preghiera e quindi ci godiamo i canti dei muezzin che si alzano da tutta la valle dalla sommità della torre principale: uno spettacolo emozionante. La visita della città richiede mezza giornata, ma la voglia di fermarsi per qualche giorno è tanta, sedersi in un caffè e osservare la gente del posto intenta nelle loro faccende non stanca mai, sarà per la strana sensazione di essere in una cittadina di mare nonostante siamo in mezzo alle montagne, sarà l’atmosfera andalusa o per la cordialità della gente, ma vivere Chefchaouen è veramente rilassante e appagante.
Se poi si ha più tempo a disposizione il Riff offre paesaggi mozzafiato: un trekking o una semplice passeggiata nei dintorni di Chefchaouen sarà una bellissima esperienza: avendo la macchina a disposizione e vedendo minacciosi nuvoloni neri avvicinarsi, abbiamo deciso di percorrere in auto i 60 km che separano Chefchaouen dal mare sulla strada che porta a Oued Lau. La strada è bellissima (e un po’ pericolosa) e permette di vedere uno spaccato di vita degli abitanti del Rif. Nel tragitto non abbiamo incontrato nessun turista, solo contadini a dorso di mulo, pastori che sorvegliavano il bestiame e qualche mercato paesano. Consigliatissimo!!!
La città blu bella tra le vette: Chefchaouen