Cappadocia in 5 giorni

CappadociaLa Cappadocia è una regione storica della Turchia centrale, famosa per il suo paesaggio che sembra uscito da un libro delle favole o da un recente e visionario film di animazione. Abitata fin dal paleolitico la regione ospitò gli antichi Ittiti e successivamente i Frigi, i Persiani, i Romani, i Bizantini, i Selgiuchidi e gli Ottomani. Il nome Cappadocia deriva dal persiano e significa “la terra dei bei cavalli”. In antichità tra i tributi che la regione inviava a Susa, la capitale dell’Impero Persiano, attraverso la via Reale di Persia, c’erano anche numerosi esemplari di quei favolosi quadrupedi.

Arrivo in CappadociaCappadocia

Il suo passato illustre e il suo paesaggio magico ci hanno indotto a sceglierla come prima tappa del nostro viaggio di tre settimane in Turchia. Arriviamo al piccolissimo aeroporto di Nevsehir da Bologna (con scalo e cambio a Istanbul) con l’aereo della Pegasus Airlines intorno alle 21. Appena scendiamo dall’aereo facciamo un giro su noi stessi e respiriamo quell’aria continentale. Usciamo con i nostri zaini sulle spalle e cerchiamo il pulmino che dovrebbe essere venuto a prenderci: abbiamo deciso infatti di usufruire del servizio di navetta al costo di 10 euro che ci era stato offerto dal nostro hotel. Attendiamo che arrivino anche gli altri e poi partiamo. Goreme, CappadociaSiamo gli ultimi a scendere. Alloggiamo a Goreme, presso il Dream Cave Hotel (30 euro in due a notte con colazione), che sebbene sia visibilmente meno elegante di quelli dove alloggiavano i nostri compagni di navetta, ci mostra subito il suo fascino. Il cancello d’entrata è aperto, sui muretti bianchi ci sono fiori rosa profumati. Il giovane receptionist ci mostra subito la nostra camera che è in un vero camino delle fate(!) e che con altre tre si affaccia su un terrazzo da cui si apre una splendida vista sulla città e sulle sue formazioni spettacolari: in un attimo siamo stati catapultati in un sogno. Il receptionist subito ci offre del caffè e del tè, accettiamo e ci mettiamo a sorseggiare la calda bevanda seduti su un tavolino sulla terrazza, inizia a soffiare un venticello fresco, le nostre teste si muovono come se stessimo seguendo una partita di tennis: guardiamo il paesaggio davanti a noi e poi giriamo la testa per vedere quello che per sei notti sarà il “nostro” camino delle fate. Alla fine entriamo in camera: molto carina, con delle nicchiette scavate nelle pareti, un letto matrimoniale e un divano. Siamo al settimo cielo.

1° giorno in CappadociaGoreme, Cappadocia

La mattina non sto più nella pelle, butto giù dal letto l’altro rintronauto e usciamo sul terrazzino dove ci viene servita la colazione: un uovo lesso, tre fette di cetriolo, una fetta di formaggio salato, presumibilmente di capra, tre fette di pomodoro, un’altra fetta di formaggio salato, miele, marmellata, burro, un’albicocca candita, cioccolato, due biscotti di sesamo, una fetta di dolce, olive nere e cay o caffè. Un gattino molto magro viene a chiederci del cibo: dividiamo la nostra colazione con lui, nonostante gli sguardi non proprio felici del receptionist. Goreme, CappadociaEssendo il primo giorno abbiamo deciso di visitare il (Goreme Acik Hava Muzesi), Patrimonio dell’Umanità (ingresso 10 euro): il parco rimane dalla parte opposta della città rispetto al nostro Hotel ma decidiamo comunque di andare a piedi, la passeggiata è piacevole e ci permette di farci un idea sulla struttura della piccola cittadina, abbastanza deserta. Alcuni alberi sono stati adornati con recipienti in terracotta o con occhi di Allah. L’estensione del parco è relativamente piccola ma ha una grande concentrazione di chiese rupestri, molte delle quali affrescate. Cominciamo a salire ed ad entrare in quelle aperture nella roccia che ci portano in ambienti insospettabili e a volte dipinti in modo spettacolare. Purtroppo anche se siamo arrivati di prima mattina c’è parecchia gente: molti turisti vengono scaricati direttamente davanti all’ingresso del sito da grandi autobus che dopo la visita ripartono subito. Rimaniamo impressionati da una ragazza giapponese che fa foto di continuo con la sua reflex digitale al collo, la sua macchina fotografica compatta, legata al polso e il suo i-phone. Probabilmente siamo in tutte le sue fotografie. Quando abbiamo finito il giro ci accorgiamo di aver saltato la chiesa dove si dice siano rimasti impressi i sandali di cristo (Carikili Kilise): non siamo assolutamente religiosi, ma non possiamo perderci tale reliquia, quindi torniamo indietro.Cappadocia

Il parco è bello, ma con il senno di poi possiamo affermare con certezza che è il luogo della Cappadocia che ci ha colpito di meno. Quando usciamo nonostante la fame ci arrampichiamo su delle formazioni davanti all’ingresso del parco e subito respiriamo l’aria della selvaggia Cappadocia: la polvere bianca, risultato dell’erosione, si alza ad ogni nostro passo, il sole arroventa le nostre teste (è indispensabile un cappellino!), l’odore pungente delle verdi piante che vi crescono solletica le nostre narici. Arriviamo in cima e sotto di noi vediamo una stretta valle con un sentiero, lo raggiungiamo e iniziamo a seguirlo: ben presto troviamo delle gallerie scavate nella morbida roccia e molte grotte. La folla di turisti è solo un brutto ricordo, siamo soli in questo paradiso, è bastato allontanarsi di poche centinaia di metri per potersi godere la vera Cappadocia.

Quando finiamo l’acqua decidiamo di tornare nel centro di Goreme, è già passata l’ora di pranzo e siamo molto affamati: ci fermiamo nel primo locale aperto e ci sbaffiamo un buon Adana Kebab (polpette molto speziate). La cittadina è molto pittoresca: sorge infatti tra i pinnacoli scolpiti nel friabile tufo. Ristorati e rinfrancati partiamo alla volta della Pigeon Valley (Guvercinlik), che parte nei pressi nel nostro amato Dream Cave Hotel. Ancora una volta non troviamo nessuno: è evidente che la maggior parte delle persone che vengono qua si ferma solo per un giro al parco nazionale. La Pigeon Valley ci lascia senza fiato: le formazioni rocciose sono meravigliose, alcuni camini sono ancora oggi usate come abitazioni o come depositi per gli attrezzi, intorno a noi, ogni tanto, si aprono alcuni bassi vigneti (Il vino della Cappadocia qui è abbastanza pubblicizzato) e alcuni floridi orti. L’origine delle tipiche conformazioni rocciose di questa regione risale alla formazione del Tauro, quando quelle montagne si sollevarono, nell’odierna regione della Cappadocia si creò una grande depressione che negli anni successivi fu colmata dai materiali provenienti dalle eruzioni di due grandi vulcani della zona. Il vento e il corso di fiumi hanno poi scolpito le celebri guglie nella friabile roccia.Un camino delle fate ancora abitato

Mentre passeggiamo passiamo vicino a una casa una signora ci si fa incontro e in un inglese stentato ci chiede se vogliamo visitare la sua casa, rifiutiamo perchè pensiamo di poter arrivare a Uchisar attraversando tutta la valle a piedi e la strada da fare è molta. La signora ci consiglia allora di andare a cena nel ristorante del figlio Rafik. Ripartiamo perdendoci tra i numerosi sentieri, entriamo in qualche camino di fata ormai disabitato, ci sorprendiamo al comparire di ogni nuovo punto di vista. Mentre iniziavamo a dubitare del fatto che la valle ci avrebbe portato a Uchisar incontriamo un solitario signore che stava vagando armato di macchina fotografica che ci dice che da lì non posiamo raggiungerlo. Non vogliamo tornare indietro quindi ci avventuriamo in una arrampicata libera su una parete dal profilo morbido e sinuoso. La salita è ardua: il terreno è reso estremamente scivolo dal pietrisco che lo ricopre e la parete si rivela ben presto più verticale del previsto. Io, che non ho ancora finito le sedute di riabilitazione dopo una frattura all’omero, in alcuni punti ho alcune difficoltà ad issarmi su. Tra le ossa di un paio di animali ad un certo punto trovo un souvenir, più in alto sopra di noi passa la strada, è lì che vogliamo arrivare. Alla fine polverosi e stanchissimi mettiamo i piedi sull’asfalto. Siamo risaliti proprio vicino ad uno spiazzo con un ristorante e una manciata di bancarelle. Corriamo a comprare dell’acqua, cercando di scuoterci i vestiti dalla polvere. Due turisti su una moto passano sul lato opposto al nostro, il guidatore suona il clacson, alzano le braccia verso il cielo e ci fanno le corna. Ci guardiamo un po’ allibiti e rispondiamo alla nostra maniera.

Uchisar non è molto lontana proseguiamo seguendo la strada. Uchisar è un paese arroccato su uno sperone roccioso, in cui si aprono numerosi ambienti scavati al suo interno: il castello di Uchisar (Uchisar Kalesi). Uchisar Purtroppo quando arriviamo è già tardi e il castello, visitabile a pagamento è già chiuso. Probabilmente se fossimo arrivati in un altro orario avremmo trovato orde di turisti (a giudicare dalle numerose bancarelle presenti) ce la godiamo così in solitudine. Il paesaggio da quassù lascia senza fiato.Di fronte a noi la bianca roccia scolpita dolcemente riempie il paesaggio fino all’orizzonte. Riprendiamo la strada per tornare all’Hotel, siamo esausti ma appagati da tanta bellezza. La sera prima di addormentarmi, probabilmente annebbiata da cotanti stimoli, sono tentata di tatuare sulla schiena dell’altro rintronauto la mappa delle valli di Goreme, giusto per non rischiare di perderci nuovamente.Il panorama che si vede da Uchisar

2° giorno in Cappadocia

Il secondo giorno mi sveglio presto, la luce dell’alba entra nella camera. Sento uno rumore basso e cupo ad intervalli regolari. Mi alzo dal letto e esco sul terrazzo. L’alba è meravigliosa e in cielo le lente mongolfiere, ognuna di colore diverso, volano sopra un paesaggio immobile appena rischiarato di tenui bagliori del nuovo giorno. Sento ancora quel rumore e capisco che è lo sbuffo della fiamma che riempie di aria calda i palloni. Rientro e mi riaddormento. Oggi andremo a Cavusin attraversando la Kizilcukur Valley (Red Valley). Per prenderla oltrepassiamo a piedi l’ingresso del Parco Nazionale di Goreme e dopo un bel po’ troviamo un campeggio (il secondo da Goreme) subito dopo svoltiamo a sinistra e abbandoniamo la strada. Red Valley Dopo pochi passi iniziamo a scendere verso la valle, circondati da quelle enormi sculture naturali. Ci arrampichiamo in tutte le grotte alla nostra portata, ci infiliamo in tutti i tunnel, troviamo alcuni ambienti con dipinte in rosso forme geometriche. Lungo il sentiero troviamo una specie di punto di ristoro (due divanetti e qualche tendalino oltre a un braciere ed a una teiera) deserto. La valle è splendida in alcuni punti ricca di vegetazione. Mangiamo un po’ di susine che crescono selvatiche. Colombari, finestre e porte si aprono ovunque ad altezze diverse, sormontati da decorazioni e in alcuni casi scritte arabe.

Ad un certo punto deviamo su un altro sentiero che sembra portarci in un’altra valle e troviamo uno spettacolare ambiente scavato molto in alto all’interno di una parete di roccia, entriamo da un buco un po’ più in basso e percorriamo lo stretto e buio tunnel in salita che ci conduce su una specie di terrazzo su cui si aprono altre due entrate. Ci sentiamo esploratori. uno stretto passaggioUn’entrata porta in una vastissimo ambiente scolpito con precisione con alcune colonne nel mezzo. Sulla destra vediamo un piccolo e basso buco quasi colmato di sabbia. Sull’onta dell’adrenalina e ormai perfettamente calatami nella ruolo di avventuriera, striscio tra la sabbia e la roccia e sbuco su una scalinata. L’altro rintronauto mi raggiunge, non senza imprecare, saliamo la scala e arriviamo su un altro piano che però presenta molti cenni di cedimento. Oltre quel piano non possiamo procedere. Troviamo la strada per due finestrelle a strapiombo sulla valle. Poi torniamo indietro, estasiati. Ritorniamo sulla Red Valley e scortati da un cane che ci ha adottati, arriviamo a Cavusin, superando il cimitero. Dopo poco troviamo un ristorantino, ci sediamo a terra e ci facciamo portare un superlativo piatto (in realtà una padella) di pollo con verdure. Mangiamo attorniati dai gatti e dal silenzio, quasi increduli di pasteggiare in questo luogo.interno di una chiesa rupestre

Cavousin è meno turistica di Uchisar, anche lei ha il suo castello costruito in uno sperone roccioso attorno al quale si estende il piccolo villaggio.Mentre camminiamo verso di esso, il cane biondo che ci aveva accompagnato fino a lì, e riappare. L’accesso al castello è libero e non molto agevole, per passare dalla parte bassa a quella alta infatti c’è un po’ da arrampicarsi, ma ne vale veramente la pena. Lo sperone di roccia è completamente traforato.All’interno si trovano gli ampi ambienti della Chiesa rupestre di San Giovanni Battista.Il percorso non è messo molto in sicurezza e per passare da un livello all’altro è spesso necessario arrampicarsi. Sulla sommità troviamo un paio di divani adagiati per far ammirare il panorama ai visitatori. Sotto di noi la moschea, le case del villaggio e il paesaggio surreale di questa regione. Siamo estasiati. Il nostro nuovo amico cane continua a scortarci fino al nostro ritorno a Goreme, quando decide di attrupparsi con un gruppo di ragazzini.

3° giorno in Cappadocia

Il castello di Cavusin

Il terzo giorno noleggiamo una Renault Symbol e ci dirigiamo verso la città sotterranea di Derikuyu (la più famosa delle circa 30 città sotterranee dell’Anatolia, ingresso 10 TL), riscoperta solo nel 1963.Derinkuyu è un luogo eccezionale è una città scavata sotto il suolo a partire dal VII secolo a. C., probabilmente per sfuggire ai numerosi invasori che di volta in volta si trovavano a passare per questa terra. Senofonte ci dà notizia dell’esistenza di questo tipo di costruzioni in Anatolia, nella sua Anabasi.interno della Chiesa di san Giovanni Battista nel castello di CavusinL’abitato sotterraneo si estende per tredici piani verso il basso (non tutti ovviamente sono visitabili) e vi sono sia ambienti abitativi che ambienti produttivi (torchi per il vino, stalle, magazzini…); al suo interno si lavorava, si cucinava e si combatteva. La varie zone della città sono collegate da tunnel molto stretti (dove si poteva combattere uno alla volta, in caso di invasione dei nemici) e chiudibili con delle porte rotonde in pietra. Sembra che potesse contenere fino a 20 mila persone, anche se molti studiosi ritengono che questa cifra sia decisamente eccessiva. L’areazione era assicurata da numerosi cunicoli che sbucavano nella campagna, molto distanti dall’abitato. Camminare acquattati lungo le sue gallerie ed ammirare la perizia con cui furono costruiti i diversi spazi è molto suggestivo. A metà visita iniziano ad arrivare enormi gruppi di turisti che si riversano negli angusti ambienti e iniziano a consumare l’aria disponibile. Io sbadiglio continuamente alla ricerca di maggior ossigeno e proprio durante questo momento mi trovo a concordare con chi sostiene che 20 mila persone siano eccessive. All’epoca dobbiamo inoltre considerare che l’aria sarebbe stata viziata anche dai numerosi fuochi accesi all’interno.

Sembra inoltre che Derinkuyu fosse collegata ad altre città sotterranee vicine con gallerie e tunnel. La struttura sotterranea continuò ad essere usata nei secoli dai cristiani per sfuggire alle persecuzioni e dagli abitanti per sfuggire agli arabi.

Quando torniamo in superficie la luce ci abbaglia, riprendiamo l’auto e guidiamo alla volta del Tuz Golu. Sulla via del ritorno ci fermiamo a fare una passeggiata nel piccolo ma carino paese di Ortahisar, anch’esso con un pinnacolo di roccia che sovrasta il villaggio, dove era stato scavato il castello.L'autobus che ci lascia a 3,5 km da Zelve

4° giorno in Cappadocia

La mattina seguente prendiamo un pullman per andare a Zelve. Dopo poco l’autista ci spiega che non può portarci lì e ci scende a 3,5 km. Proseguiamo a piedi. La passeggiata è molto gradevole e preferiamo quasi questo cambio di programma, anche se il sole arroventa i nostri volti e prosciuga le nostre bocche.

Lungo la via ci fermiamo a Pasabagi, suggestivi pinnacoli, visitabili gratuitamente, ma molto conosciuti e quindi affollati. Pasabagi Le grotte e le abitazioni scavate al suo interno sono molto antiche e furono occupate da numerosi eremiti, come la maggior parte delle grotte scavate in Cappadocia. Sul lato opposto della strada un camino delle fate è usato come stazione di polizia.

Finalmente arriviamo allo Zelve Open Air Museum. Zelve (ingresso 8 TL) è un villaggio rupestre articolato in tre valli che si incontrano, risalente con probabilità all’età romana e che continuò ad essere abitato fino al 1952, quando gli abitanti furono trasferiti a Yeni Zelve (nuova Zelve) poiché il villaggio iniziava a franare. ZelveAnche qua troviamo magazzini, ambienti produttivi, stalle, tunnel, abitazioni, chiese e una moschea. Ci arrampichiamo liberamente ovunque, entrando dove vogliamo, siamo felici ed eccitati come bambini, estasiati. Trascurato dai turisti L’Open Air Museum di Zelve è magico.
Alla fine storditi dal sole e paghi di aver visto praticamente tutto ci fermiamo a mangiare al ristorante del parco e aspettiamo il dolmus per tornare a Goreme.  Ricordatevi che nonostante la fatica per apprezzare al meglio questo sorprendente sito dovete entrare ovunque sia possibile, fare gli ospiti in queste case ormai lasciate a se stesse e ricordarvi spesso come fino a 60 anni fa fossero brullicanti di vita. Ceniamo a Fat Boys: mangiamo seduti su morbidi e grandi cuscini e terminiamo la cena con un delizioso baklava.

5° giorno in Cappadocia

Zelve

Il nostro quinto giorno in Cappadocia purtroppo lo passiamo piegati in due dalla diarrea del viaggiatore. Usciamo solo per andare a mangiare dal nostro amico Rafik che incredulo ci prepara un piatto di riso bianco, ma che non convinto del tutto e preoccupato di aver capito male, alla fine ci schiaffa sopra un bel peperone arrostito. Purtroppo abbiamo perso l’occasione di visitare L’Ihlara Valley.

L’ultimo giorno ci siamo un poco ripresi. Ci congediamo dal nostro amato Dream Cave Hotel (in realtà ci torneremo prima di prendere l’autobus per Pamukkale alle 19, per recuperare i bagagli) e andiamo a piedi nella Zemi Valley per vedere El Nazar Kilise, una chiesa rupestre decorata con affreschi bizantini. Mehmet, il bigliettaio smanaccione ci fa entrare per 5TL e tra una smanacciata e l’altra ci spiega i begli affreschi e poi ci invita a sorseggiare un cay nel suo sgabuzzino (da noi in seguito denominato antro). Evidentemente non ancora stufi della diarrea accettiamo di buon grado e beviamo il tè da due bicchierini che erano già stati usati, sciacquati solo con un poco d’acqua in una bacinella (non c’è acqua corrente, nell’antro). Mentre beviamo ci racconta amabilmente di aver portato, proprio il giorno prima, una coppia di italiani in un hammam e di avergli fatto dei massaggi, così dicendo inizia a massaggiare l’altro rintronauto. Mentre Mehmet è occupato a rispondere al telefono ce la filiamo salutandolo e ringraziandolo. El Nazar Kilise, internoFuggiti con l’altroce dubbio di dover riniziare a “cacare l’anima”, troviamo una chiesa rupestre non segnalata se non dalla voce stridula di una rumena che aveva paura di scendere dalla lunga scala a pioli tramite cui si accede alla chiesa. La scala (alta 4/5 m) ci ha condotto in una galleria in leggera salita, dove si trova ancora la porta rotonda per chiudere l’entrata in caso di pericolo. Da lì poi si aveva accesso a numerosi ambienti affrescati. Favolosa e magnifica, abbiamo potuto godercela non appena la rumena si è calmata ed è riuscita a scendere dalle scale. Poi abbiamo fatto una passeggiata nella così detta Love Valley, finchè non torniamo nel centro di Goreme e inspiegabilmente ci fermiamo nel Cafè Cappadocia, il più fashion del villaggio, beviamo un tè in questo posto ultra-curato e con il personale scortese, cosa estremamente rara in Turchia.  Ceniamo verso le 18 da Rafik e saliamo sul pullman che ci porterà lontano dalla Cappadocia, che ci ha regalato con un paesaggio unico in cui abbiamo provato un grande senso di avventura e di libertà (le valli sono facilmente visitabili da soli, senza guida).

Cappadocia

 

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