Sirince

Sirince è stata una piacevole quanto inaspettata sorpresa. Non avevamo programmato di visitarla, quell’ultimo giorno a Selcuk avevamo infatti pensato di dedicarlo ad una breve visita a Smirne. Più cercavamo informazioni meno la nostra meta ci convinceva. Decidemmo così di cambiare programma: il pittoresco villaggio di Sirince (così lo definiva la guida) attirò la nostra attenzione, anche se eravamo molto dubbiosi perchè avevamo letto che era affollata di turisti. Andammo così all’otogar (stazione) di Selcuk e cercammo il dolmus (pulmino) per Sirince (2,50 Tl). I dolmus sono i mezzi ideali per girare la Turchia (leggi il post: Come muoversi in Turchia).

Sirince

Dopo una quarantina di minuti arriviamo al villaggio. Sirince è posta su una collina ed è circondata da un paesaggio bucolico: vigneti e olivi a perdita d’occhio. Le due strade principali sono molto turistiche, ma graziose. Bancarelle e negozi vendono oli, saponi e vino in abbondanza.

SirinceSirince è famosa soprattutto per la sua produzione di vini aromatizzati ai frutti (al melograno, al kiwi, alla pesca, al lampone ecc…) e molti locali offrono la possibilità di degustarli.

Arriviamo poco prima di due grandi pullman stracarichi di turisti: per non incontrarli ci dirigiamo verso le piccole viuzze laterali e ci perdiamo esplorando gli angoli nascosti e decadenti di questo paese. Le tipiche case turche in legno resistono agli anni e regalano scorci indimenticabili. Sirince

Su queste tortuose e faticose stradine non incontriamo che altri due turisti, qualche abitante del posto e un paio di cani. Le case sono addossate le une alle altre, molte sono diroccate, alcune sono state risistemate.

Sirince

Ad un certo punto in una zona abbastanza centrale del paese troviamo una chiesa ortodossa (Chiesa di San Giovanni Battista), abbandonata e mal tenuta, dove si può entrare. Prima dello scambio di popolazioni del 1924 tra Grecia e Turchia, qua viveva infatti una comunità di greci-ortodossi. Poco sopra la chiesa l’altro rintronauto scorge un ristorantino su una panoramica terrazza e saliamo per cercare l’entrata. Ci sono scritte solo in turco. Entriamo e ci sediamo sulla bella terrazza che ci offre una vista spettacolare sulla campagna e sul paese. La tovaglia è a quadretti, le sedie e i tavoli sono dipinti di celeste.

Sulla vite che ci faceva ombra erano attaccate zucche seccate come decorazione. Poco dietro di noi sotto una copertura di lamiera delle donne anziane sedute in terra stendevano della pasta. Una signora ci porta il menù. È solo in turco, ma per fortuna ci sono delle immagini. Ordiniamo indicandole. Dopo un po’ la signora torna con due piatti, e un cestino con il pane, ce li mette davanti e se ne va. Rimaniamo così soli con un’enorme piattata di fagioli in umido e un piatto di quelli che a prima vista ci sono sembrati tortellini con lo yougurt (Manti), ma che in un secondo momento si sono rivelati immangiabili a causa del loro sapore tremendo. Neppure l’altro rintronauto, noto divoratore onnivoro, riesce a mangiarne più di una manciata. Divoriamo i fagioli che non avevamo ordinato. Poi ridiamo fino a che non abbiamo più fiato. Il posto è stupendo, il muezzin comincia a cantare. Ci guardiamo intorno, sembra di essere in un film americano sulla Turchia. È tutto così perfetto e così vero. La signora torna e con un sorrisetto tipico di chi la sa lunga e indica il piatto di Manti. Lo facciamo portare via. L’unico altro tavolo occupato è quello di una famiglia turca. Li osserviamo e notiamo che anche loro lasciano intatti i piatti di Manti. Forse non è il Manti che è cattivo, forse è solo stato cucinato male. Dopo due cay ce ne andiamo, non abbiamo avuto il coraggio di ordinare qualcos’altro da mangiare. Rimedieremo più tardi. Può sembrare strano ma questo è uno dei pranzi che ricorderemo con più nostalgia in futuro. Dopo pranzo continuiamo a vagare per il paese. Poi prendiamo il dolmus per tornare a Selcuk.

Sirince

 

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