Istanbul

Istanbul fu fondata dall’Imperatore Costantino sul luogo dove sorgeva la strategica Bisanzio, ex-colonia greca. L’Imperatore voleva costruire una nuova capitale per allontanarsi dagli intrighi di Roma e mise tutte le sue energie nell’intento di monumentalizzarla ed elevarla al rango dell’Urbe. Il suo impegno e quello dei suoi successori contribuirono a creare una città unica, a cavallo tra Oriente e Occidente.Istanbul dal Bosforo

Oggi solo pronunciando il nome di Istanbul si evocano storie misteriose di Sultani ricchissimi, storie di intrighi e di mistero, storie che riportano all’antico passato romano. Istanbul è la città costruita a cavallo tra due continenti, l’Asia e l’Europa, è la sorella più giovane della città eterna Roma. È la Costantinopoli dell’Impero Romano d’Oriente. Ognuno può scegliere quale lato lo interessa di più, ma visitandola amerete tutte le sue sfaccettature.

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Per arrivare a Istanbul da Selcuk prendiamo una quantità spropositata di mezzi di trasporto: il comodo e confortevole, ma non puntuale treno, che ci ha portato nei pressi dell’aeroporto, l’aereo della Pegasus Airlines (che abbiamo rischiato di perdere poiché non prestando attenzione alla voce dell’altoparlante, non ci eravamo accorti del cambio di gate), l’affollata e puzzolente metro che con una spesa irrisoria ci ha portato dall’aeroporto di Ataturk al centro della città e il tram (metro e tram = 6 Tl a testa).

Dalla fermata del tram all’Hotel Meddusa, che avevamo prenotato, ci occorrono solo 5 minuti a piedi, riusciamo anche a non sbagliare mai strada. L’albergo è carino e pulito, il personale gentile. La camera è chiaramente una singola in cui è stato messo un letto matrimoniale, ma va bene così, spendiamo 43 euro a notte con la colazione, non ci sembra certo il caso di lamentarci.

Posiamo le nostre cose e poi ci catapultiamo in strada. Siamo nelle vicinanze di Nuruosmaniye. L’hotel dà su una strada che ci ricorda molto i viali alberati parigini, non per nulla Istanbul è detta la Parigi d’oriente. Un piccolo negozio di tabacchi ci lascia alquanto sorpresi: oltre alle sigarette e agli immancabili sacchetti di patatine fritte vende hamburger fatti sulla piastra collocata sul minuscolo bancone. Ci dirigiamo verso la piazza dell’Ippodromo che in alcuni post avevamo letto essere una delle 10 cose che non meritano di essere viste a Istanbul. Le uniche traccie dell’ippodromo romano, dove si decidevano spesso anche le sorti politiche dell’antica Costantinopoli, sono le colonne della spina centrale: la colonna serpentina, proveniente da Delfi e l’egizio obelisco di Teodosio. Il colpo d’occhio è magnifico, tre colonne ognuna delle quali mostra un periodo diverso della storia umana: l’obelisco che fu in realtà costruito da Tutmosi III risale al 1550 a. C. , la colonna serpentina fu costruita nel V secolo a. C. per celebrare la vittoria dei greci sui persiani nella Battaglia di Platea, e ci mostra come il piano di calpestio fosse più basso nel IV secolo quando Costantino la trasportò qua.

La piazza è bella, ampia, e soprattutto affollatissima. Ovunque ci sono persone e famiglia accampate con coperte e tovaglie: nelle aiuole, sul selciato, sulle panchine. Venditori ambulanti improvvisano bancarelle abusive ovunque.Aspettando l'iftar davanti alla moschea Blu C’è chi vende le pannocchie, chi il pane, chi le castagne, chi le bibite, chi le tovaglie. Se qualcuno si è dimenticato qualcosa può rimediare senza problemi. Il sole scende verso l’orizzonte e le famiglie cominciano a tirare fuori dalle grandi borse che hanno vicino pentole, stoviglie, bicchieri. Ci si sta preparando, tra poco la voce del muezzin si diffonderà dal minareto della Moschea Blu e tutti potranno iniziare ad abbuffarsi. È una grande festa. Tutti sorridono, le lucine si accendono, il momento è vicino. Qualche bambino sgranocchia già qualcosa. D’un tratto il muezzin inizia la preghiera, il brusio cessa immediatamente e il silenzio cala sulla piazza. Un silenzio irreale. Ci guardiamo intorno c’è gente a perdita d’occhio. E sono tutti in silenzio. C’è chi beve, chi mangia, tutti sono occupati, nessuno parla. È uno spettacolo unico. Quale miglior accoglienza poteva riservarci questa stupefacente città?

Alla fine anche noi affamati andiamo alla ricerca di un ristorante. Troviamo una specie di tavola calda davanti ai vigili del fuoco e alla polizia (la sicurezza per noi è al primo posto!) e così plachiamo la fame.

Dopo cena riprendiamo il nostro pellegrinare per le strade di Istanbul, siamo alla ricerca di un posticino dove sorseggiare il Cay, di cui siamo diventati dipendenti. Passiamo davanti ad un antico cimitero ottomano (XIV secolo) e rimaniamo sorpresi nel vedere il flusso in entrata e in uscita: incuriositi ci accapiamo e scorgiamo in lontananza un cafè (Turk Ocagi Kultur ve Sanat Merkezi Iktisadi Isletmesi Cay Bachesi). Entriamo e ci accomodiamo. I camerieri passano con enormi vassoi pieni di bicchierini di tè turco e tè alla mela. Il posto è affollato e allegro, frequentato soprattutto da turchi. Quasi tutti fumano il narghilè. Dopo due tè a testa usciamo e girottoliamo un poco tra le lapidi del cimitero. Poi ormai stanchi decidiamo di dirigersi verso la nostra camera. Un ragazzo ci rincorre fino all’ingresso del cimitero, urlando qualcosa in turco per attirare la nostra attenzione. Ci fermiamo e spieghiamo in inglese che abbiamo lasciato i soldi sul tavolo, pensando che ci avessero inseguiti perché credevano che non avessimo pagato. Ma in realtà scopriamo che il ragazzo ci aveva rincorso perché ci eravamo dimenticati lo zaino (!) al nostro tavolo. Ringraziamo come giapponesi e a passo svelto andiamo a letto (sarà meglio!).

Facciamo colazione sulla piccola terrazza dell’Hotel. Vediamo il Bosforo e le navi che lo attraversano. L’aria è pulita, la giornata non sembra troppo calda. Iniziamo con la visita alla Cisterna Basilica (in turco Yerebatan Sarayi, prezzo 10 Tl), che è a pochi passi dall’Hotel. Andiamo appena fatta colazione, per evitare di incappare nelle comitive delle gite organizzate. La cisterna fu fatta costruire da Giustiniano per avere un deposito di acqua in caso di assedio della città, nel VI secolo d. C. . Fu così che la Basilica romana (luogo dove si amministrava la giustizia e si svolgeva la vita civile) che sorgeva sul luogo in cui fu edificata la cisterna, fu convertita a nuovo uso. Con il tempo poi la cisterna fu abbandonata e coloro che abitavano nelle case sopra di essa avevano botole da cui potevano tirare su l’acqua, e a volte anche qualche pesce. Le carpe nuotano ancora tranquille sotto le passerelle. Oggi la cisterna si presenta come una selva di colonne, differenti tra loro. L’acqua c’è ancora, ma poca. Un sistema di passerelle permette di visitarla. Le soffuse luci rossicce rendono la visita molto suggestiva. Cisterna basilicaIn fondo troviamo le teste di Medusa che furono messe a basamento di due colonne. Bellissime, una testa all’ingiù e l’altra di lato per evitare che con il loro sguardo pietrificasse gli astanti. Vicino alle scale c’è anche un bar, per chi vuole sorseggiare un caro Cay in questa stranissima struttura. Prima di andare vediamo delle persone infilare il dito in un buco di una colonna. Lo inseriamo anche noi: io l’ho tirato fuori umido, l’altro rintronauto asciutto, ma non abbiamo capito cosa significasse.Cisterna Basilica, la colonna con il buco

Riemergiamo piano piano dalla semioscurità della Cisterna e siamo nuovamente catapultati nel frastuono di Istanbul. Armati di reflex (il giorno prima non l’avevamo portata con noi) torniamo in piazza dell’Ippodromo e alla Moschea Blu (in turco Sultanahmet camii) per le foto di rito. Moschea Bl,u esterno Poi entriamo nella moschea. È la nostra prima moschea, io mi sono portata la kefia e un golf da indossare prima di entrare, in modo da avere le braccia coperte dal golf e i capelli dalla kefia (indosso pantaloni lunghi, quindi per quello non ho problemi). Sono comunque disponibili teli per coprirsi in loco. L’altro rintronauto ha i pantaloni corti, ma sotto il ginocchio, lo lasciano entrare tranquillamente. L’interno è completamente decorato con maioliche di Iznik e illuminato dalle numerose finestrelle. La sua bellezza ci lascia senza fiato. Camminiamo con i piedi scalzi sui morbidi tappeti rossi. Nell’area riservata ai fedeli alcuni uomini pregano. Le donne invece sono accalcate nella piccola area loro riservata. La moschea ci lascia senza fiato. Dopo appena 30 minuti veniamo allontanati, sta per iniziare una funzione. MinaretiDopo pranzo andiamo verso il bazar, dalla parte dell’entrata di Nuruosmaniye. Prima però di perderci tra gli odori e la svariata mercanzia dell’enorme mercato ci fermiamo nella moschea di Nuruosmaniye: molto più tranquilla e meno decorata della Moschea Blu, ci ristoriamo dal caldo in quella piccola oasi di pace, seduti sul tappeto azzurro. Le pareti sono bianche. I fedeli pregano. Piedi scalzi passano accanto a noi. Un uomo dorme. Quando siamo sazi della sua calma, usciamo nuovamente in strada. Le persone intorno a noi si accalcano per passare sotto l’ingresso del bazar (Kapalı çarşı, in turco). Già sentiamo alcuni odori, ma non sono quelli che ci auguravamo di sentire all’interno. Entriamo trasportati dalla folla. I miei piedi non toccano la terra. Subito dopo però la folla si disperde già risucchiata dalle bancarelle e dalle viuzze del bazar. La struttura del mercato è meravigliosa: al suo interno ci sono piazze e fontane. I soffitti sono affrescati.

Il bazar, Kapalı çarşı, internoLa mercanzia sicuramente è distante anni luce da quella che era proposta dalle botteghe che composero il nucleo originario del bazar, appena 6 anni dopo la conquista di Costantinopoli. Con gli anni il mercato si ampliò e fu edificato in muratura. Altre bancarelle e botteghe si sono addossate alle pareti esterne del mercato, ampliando di fatto la sua superficie. All’esterno numerosi sono i banchi e i negozietti che propongono marchi contraffatti. Compro una felpa (25 Tl) perchè la sera qua fa freschetto. Cominciamo a cercare di orientarci sui prezzi, torneremo a fare acquisti e vogliamo capire come funziona. Alla fine usciamo. Siamo stanchi. Il nostro girovagare ci porta verso il ponte di Galata. Lo attraversiamo. Al piano di sotto i camerieri cercano quasi di tirarci con forza dentro i numerosissimi ristornati. Al piano di sopra lungo il parapetto non si vedono che canne da pesca. E i gabbiani che volano nel cielo azzurro cosparso di nuvole bianche. Alcuni ragazzi si sono organizzati e vendono esche, lenze e addirittura canne da pesca intere. Qualcuno le noleggia. Il traffico è intenso. Ci fermiamo un poco, affacciandoci per riprendere fiato. Il tramonto è vicino, il sole si abbassa sull’orizzonte. In lontananza vediamo la moschea di Süleymaniye (la moschea di Solimano). I traghetti attraversano placidamente quel breve braccio di mare. I gabbiani ridono sopra le nostre teste.

Siamo esausti torniamo in hotel per una breve pausa. A cena andiamo nel quartiere Fatih, una serie di ristorantini con i tavoli in strada offrono menù completi a prezzi buonissimi. Mangiamo bene, insieme ad una miriade di uomini che aspettano il canto del muezzin per iniziare a rifocillarsi. Attendiamo anche noi.

La mattina dopo andiamo a visitare Aya Sofia (25 Tl): la favolosa basilica eretta da Giustiniano e dedicata alla Divina Sapienza. Dopo essere stata chiesa ortodossa fu trasformata in chiesa cristiana e poi in moschea, infine è diventata un museo.

La cupola, di trenta metri di diametro, non è quella originale voluta dall’Imperatore, poiché la prima crollò a causa di un terremoto, ma genera lo stesso stupore che credo abbia colpito coloro che la videro dopo la sua edificazione.Aya Sofia, interno

I quattro medaglioni con scritte arabe, che ricordano il suo passato di moschea, sono opere calligrafe. Nel 1935 per volontà di Ataturk fu trasformata in un museo. Lo scorso anno, durante la nostra visita (2013) era soggetta ad un restauro, per cui non abbiamo potuta ammirarla in tutto il suo splendore.

Anche qua infiliamo il dito in una colonna. Entrambi lo tiriamo fuori umido, secondo la leggenda significa che saremo guariti dai nostri mali, secondo noi che i turisti prima di noi erano molto sudati. Non resistiamo alle tentazioni di passare sotto la gigantesca porta d’entrata, la cui soglia in antichità poteva essere varcata solamente dall’Imperatore. La struttura di Aya Sofia sembra quasi galleggiare, è leggera e impressionante.

Dopo un veloce pranzetto a base di cheesburger in un minuscolo bar ci incamminiamo verso Galata. Ma prima siamo attirati dalla grandiosa moschea di Solimano (Süleymaniye), sembra che per la sua costruzione vi siano state trasportate alcune colonne dell’Artemision (tempio di Artemide) di Efeso, una delle 7 meraviglie del mondo antico. La moschea è spettacolare, immensa, elegante e poco frequentata dai turisti. Vado in bagno (1 Tl) e mi ritrovo in mezzo a donne islamiche che si tolgono il velo e si rinfrescano, una scena molto bella. Proseguiamo. Oltrepassato il ponte siamo nel quartiere sotto la torre di Galata, che ci ha ricordato molto la città di Genova. Ci arrampichiamo su per una scalinata e arriviamo ai piedi della torre costruita dai Genovesi. Decidiamo di non salire e proseguiamo lungo Iskiet Caddesi, prendiamo un cay nel carinissimo Mona Lisa cafè. Siamo nella città moderna, nel cuore di Istanbul, i negozi delle grandi catene internazionali si affacciano sull’ampio viale tagliato in due dai binari del tram. Iskiet Caddesi Il nostro obiettivo è giungere in piazza Taksim, dove pochi mesi prima i manifestanti contro Erdogan erano stati caricati e alcuni erano rimasti uccisi. La piazza ci appare presidiata dai poliziotti. Nel parchino era stato improvvisato un altarino per ricordare i morti durante gli scontri. Per rientrare prendiamo la funicolare fino a Kabatac e poi il tram fino a Sultanameth, ceniamo nel solito quartierino con “quelli della moschea” e poi facciamo il solito giro alla ricerca dei bar più scalcinati di Istanbul e dei Cay più economici.

Il terzo giorno doveva essere dedicato al palazzo Topkapi, ma facendo delle ricerche su internet abbiamo scoperto l’esistenza di tre quartieri non turistici molto interessanti da visitare: Fatih, Fener, Balat. Fatih è il quartiere più conservatore di Istanbul e il mercoledì vi si tiene il mercato (ed era proprio mercoledì!), Fener è il quartiere greco-ortodosso, dove si rifugiarono i bizantini che tornarono a Costantinopoli dopo la conquista ottomana e Balat è il quartiere ebraico e il nome sembra derivare dalla presenza di un palazzo imperiale. Tutti e tre i quartieri sono dentro le antiche mura di Teodosio e sono raggiungibili solo in taxi o a piedi. Decidiamo per il secondo mezzo, il più economico. Dopo aver passeggiato a fianco dell’acquedotto di Valente, andiamo alla moschea di Fatih, attorno alla quale si svolge il grande mercato infrasettimanale. Moschea di FatihLe donne sono quasi tutte coperte e non dallo Hjab. Alcune hanno anche il burka. Camminando arriviamo a Fener. Capiamo di esservi arrivati quando passeggiamo sotto il tetro e maestoso edificio in mattoni rossi del Liceo greco-ortodosso (Rum Lisesi), che oggi conta solo 58 iscritti. Liceo greco-ortodosso (Rum Lisesi)Affamati scendiamo lungo il lungo mare. I bambini si tuffano nell’acqua cosparsa di immondizia. Camminiamo alla ricerca di cibo e un signore ci sorpassa e fa cadere qualcosa di molto rumoroso. Stranamente non si volta e continua a camminare come se nulla fosse: avevamo letto sulla Lonley Planet che è un tipo di truffa abbastanza diffuso. Se raccogli e restituisci l’oggetto, il signore fingerà di volerti offrire il pranzo per ringraziarti, ma poi ti lascierà tutto da pagare. Scavalchiamo l’oggetto e proseguiamo come se nulla fosse. Il signore dopo qualche passo si volta, raccoglie ciò che gli era caduto e se ne va, stizzito dal fatto che lo avessimo ignorato.

Pranziamo in un ottimo ristorante all’inizio di Balat (21 Tl in due). Balat è bellissima con le sue case colorate, l’atmosfera rilassata, i bambini che giocano per strada, gli uomini seduti all’ombra nei bar, le donne affacciate alle finestre o a chiacchera sui marciapiedi. Abbiamo scattato foto a ripetizione. La gente ci guarda incuriosita. Non ci sono turisti tranne noi, seppure i tre quartieri siano stati nominati Patrimonio dell’Umanità. Un ragazzino ci corre incontro per farsi scattare una fotografia con il suo amico e i loro mitra giocattolo. Torniamo verso Fener, che avevamo attraversato un po’ frettolosamente. Le case turche sono in legno, colorate le une diverse dalle altre, qua le donne non sono velate e stanno tutte pulendo casa. Giriamo tra quelle case affascinati da quegli scorci di vita autentica, alla fine torniamo sui nostri passi e ci fermiamo a riposare un poco nell’Istanbul cafè, localino in legno molto bohemien, dietro la moschea di Solimano. Siamo distrutti ma soddisfatti di questa insolita giornata a Istanbul.

Il nostro penultimo giorno lo dedichiamo prevalentemente agli acquisti nel bazar e a bere teini, giusto per respirare un po’ la vita di Istanbul.. Ci districhiamo tra i venditori contrattando come se lo facessimo da tutta una vita. Compriamo pashmine, bicchierini per il cay, cay turco, tabacco e occhi di Allah come se non ci fosse un domani. Ci perdiamo nel mercato che si estende fuori dall’edificio del bazar. Ci sono negozi estremamente specializzati (che vendono solo tondini, ad esempio o viti) e negozi in cui si può trovare di tutto. Arriviamo al mercato delle spezie. I suoi forti odori ci colpiscono fin da subito, la merce esposta fa venire l’acquolina in bocca. Non resistiamo e compriamo squisiti fichi secchi ripieni di noci.Il mercato delle spezie

Al tramonto torniamo sul ponte di Galata, è la nostra ultima sera e non c’è modo migliore per congedarsi dalla città.

Il venerdì mattina seguente ci alziamo e dopo colazione cerchiamo di comprimere tutti gli acquisti negli zaini, la cosa non è semplice e richiede tempo, pazienza e tutte le nostre abilità di esperti di tetris.

Lasciamo i nostri bagagli al Meddusa Hotel e ci dirigiamo verso il Musei Archeologici (İstanbul Arkeoloji Müzesi, biglietto 10 Tl), che è vicino a palazzo Topkapi. Il Museo era per metà chiuso, in quanto in via di risistemazione. Molto bella e interessante la sezione assiro-babilonese, il bellissimo sarcofago di Alessandro (che in realtà apparteneva ad un re di Sidone) e quello egizio riusato da un altro re di Sidone. Il Museo delle Maioliche, incluso nel prezzo, invece ce lo ricorderemo soprattutto per due cose: la velocità con cui lo abbiamo visitato (tempi da record mondiale) e il custode che dormiva seduto scomodamente su una sedia. La mostra sulle navi (V-XVIII secolo a. C. ) rinvenute nel porto di Teodosio, è estremamente interessante, l’esposizione dei reperti è accompagnata da filmati 3D e ricostruzioni che aiutano a comprendere meglio la conformazione della città negli anni. Essendo pisani ci auguriamo che anche con le navi ritrovate a Pisa durante i lavori per la stazione di San Rossore possano avere una così degna musealizzazione, dopo tutti questi anni.

Dopo pranzo arriviamo con il tram a Eminou e prendiamo il traghetto per la crociera sul Bosforo (10 Tl, 2 ore compagnia Sehir Hatlari) navighiamo nelle calme e trafficate acque, ammirando Istanbul dal mare. Vediamo palazzo Dolmabahçe e e il castello. Al ritorno mangiamo uno dei famosi panini al pesce appena pescato. Poi torniamo all’Hotel a recuperare gli zaini e ad attendere il passaggio del transfert per andare all’aeroporto di Sabina Gocken (10 Tl), che avevamo precedentemente fatto prenotare dal personale dell’Hotel. Durante l’interminabile tragitto verso l’aeroporto capiamo quanto possa essere trafficata Istanbul e ci rallegriamo di averlo preso alle 19.30 seppure il nostro volo parta alle 00.25. Torniamo a casa, sperando di tornare in questa splendida e indimenticabile metropoli, e non solo perchè palazzo Topkapi attende una nostra visita! Istanbul è bellissima per la sua varietà, la sua storia variegata, i suoi abitanti, la sua vita e i suoi squisiti cay, e per molte altre cose che potrete capire solo visitandola e conoscendola.

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