Visto il genere di suggestione che genera un manicomio abbandonato e la sua notorietà nel territorio è diventato meta di curiosi e graffitari.
Seppure siamo stati moltissime volte a Volterra e fossimo a conoscenza del posto, al suo ex manicomio siamo andati solo una volta, lo scorso anno (maggio 2013).
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Era una giornata serena di primavera, il sole splendeva ma ciò non ha tolto per nulla il fascino a quei padiglioni malmessi.
Ne esploriamo qualcuno: in giro ci sono ancora prescrizioni, sedie a rotelle e strumenti medici vari.
I vetri delle finestre sono tutti rotti e così lasciano entrare liberamente sia la pioggia sia le piante. Sembra di essere in una delle puntate di quella serie “Il mondo dopo l’uomo”: la natura si riappropria piano piano dei suoi spazi ma la presenza dell’uomo è ancora evidente.
Sui corridoi si affacciano numerose porte aperte, le pareti sono state decorate da qualche artista di strada. Comincia il giochino di “ho visto qualcosa passare!” o “Lo senti anche tu questo rumore?”.
Troviamo i piccoli bagni e alcune stanze di cui non ci sappiamo bene spiegare la funzione. Dell’acqua gocciola.
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L’Ospedale Psichiatrico di Volterra era all’avanguardia, sotto la direzione di Scabia si cercò di creare una comunità indipendente dove i malati potessero vivere liberamente ma anche qua come in tutti i manicomi ci sono state dolore e sofferenza, e la desolazione che oggi si vede in questi ambienti contribuisce a renderle ancora più reali.
Per ultimo visitiamo il padiglione Ferri, più piccolo degli altri ospita però delle opere d’arte incise sul muro esterno dell’edificio, con la sola fibbia della cintura da un paziente Oreste Ferdinando Nannetti, Nof4.
Ex- Ospedale Psichiatrico di Volterra
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