La fortezza crociata di Al Karak

Il nostro secondo giorno in Giordania andiamo a visitare la fortezza di Al Karak un castello costruito dai crociati dalla prima metà del XII secolo per controllare i beduini e le vie carovaniere che da Damasco arrivavano fino a La Mecca.

Castello di Al Karak (Qasr Al Karak)

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Da Madaba prendiamo l’antichissima strada dei Re (una delle più antiche della storia) e guidiamo affascinati da ciò che vediamo fuori dal finestrino. Tutti coloro che incontriamo per strada, e in Giordania c’è sempre qualcuno a piedi, anche nelle zone più remote e improbabili, si voltano a guardarci: qua le utilitarie come la Picanto non sono frequenti, anzi, tutte le macchine che vediamo sono pick-up e berline. La gente ci saluta: capisce immediatamente che siamo turisti, un giordano non avrebbe mai motivo di comprarsi una macchina tanto piccola.

La strada ad un tratto, quasi senza preavviso incrocia lo spettacolare Wadi Mujib, un maestoso canyon che arriva fino al Mar Morto. La roccia è biancastra e brulla tranne che per qualche raro cespuglio. Il canyon in questo punto è abbastanza largo e ci incanta con la sua bellezza.

Ci soffermiamo più volte ad ammirare il paesaggio e a scattare fotografie. Sostiamo anche in un’ampia piazzola a guardare dall’alto il percorso che tra poco dovremmo seguire. La strada è così scenografica nella sua discesa verso il fondovalle, con un numero infinito di tornanti, che sembra il set ideale per una pubblicità di automobili.

Dall’interno del baracchino che è su un lato della piazzola un uomo sdraiato su un materasso ci apostrofa in italiano: sua moglie è una nostra connazionale e lui non vedeva l’ora di sfoggiare la sua conoscenza della lingua. Ripartiamo e proseguiamo lungo la sinuosa strada. Passiamo sopra la diga e risaliamo, attraversiamo paesini scalcinati e affollati e finalmente arriviamo ad Al Karak: il castello è sopra di noi. Ce l’abbiamo fatta.

Anche qua non troviamo nessuno: neppure il bigliettaio per pagare l’ingresso. Entriamo riproponendoci di pagare all’uscita. La prima domanda che ci assale è “dove sono le orde di turisti di cui parlano le guide?” In due ore e trenta minuti di visita non abbiamo visto che 4 ragazze francesi (le abbiamo incontrate nel sotterraneo e ci siamo spaventati a vicenda), due ragazzetti del posto, una famiglia giordana e due turisti che stavano entrando quando noi uscivamo.

Dall’esterno il castello non sembra molto grande, ma al suo interno nasconde un sistema di gallerie, alloggiamenti, cunicoli, celle, aree residenziali e tunnel che si estendono almeno su tre livelli.Castello di Al Karak (Qasr Al Karak)

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 Esplorarlo è divertentissimo e molto interessante, non ci sono zone off-limits e possiamo infilarci dove ci pare. Mai fu più utile l’applicazione della torcia led sullo smartphone. Purtroppo il museo che ha aperto da pochi anni e dovrebbe ospitare i reperti rinvenuti in questa roccaforte che i crociati chiamavano Kerak di Moab è chiuso e così non possiamo visitarlo.Castello di Al Karak (Qasr Al Karak)

Dopo la visita più che meticolosa abbiamo fame e quindi scendiamo nel suk di Al Karak in cerca di cibo. Girottoliamo ancora una volta affascinati dai profumi e da ciò che vediamo. Un signore bonariamente riprende l’altro rintronauto che probabilmente a causa di un black-out del cervello aveva tirato fuori la sigaretta elettronica e aveva fatto qualche tiro. Di giorno durante il Ramadan non si fuma. Non contento della prima partaccia mentre era intento a fotografare un banco del mercato ha casualmente inserito nell’inquadratura un poliziotto (o comunque un uomo armato) che subito gli ha fatto le sue rimostranze.Castello di Al Karak (Qasr Al Karak)

Compriamo un pane, due pomodori, un po’ d’uva e un dolce che sembra simile al buccellato e fuggiamo dal traffico incredibile di quella cittadina. Arriviamo in un punto panoramico da cui si può osservare il castello e poi guidiamo per chilometri prima di riuscire a trovare un luogo isolato dove mangiare: alla fine ci fermiamo in un bel campo di terra rossa un posto desolato ma bellissimo che a noi un po’ ha ricordato la Sicilia e un po’ l’Arcadia, se non fosse per la presenza dei pastori con la kefia, dei cammelli e degli accampamenti beduini sparsi qua e la tra le colline.

Al Karak

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